19.10.07

Il rugby ha veramente un posto per tutti

Ciao, sappiamo che in Italia è ancora presto, ma siamo sicuri che tra qualche anno ci sarà un gran numero di giocatori e appassionati.

Il rugby si presta a molteplici forme di gioco con regole adattate alle capacità, allenamento e anche stazza fisica.

Citiamo oltre al rugby a 15, il rugby a 7, il rugby a 13, il già noto Touch che non prevede contatto.

Nelle nazioni evolute sta nascendo anche il Rugby 80, leggete questo articolo tratto da http://www.rugbypeople.it/


“Rugby 80″: Bob Dwyer e il ritorno ad uno sport di pesi medi
Mentre la Coppa del Mondo si avvia a conclusione suscitando nuove riflessioni sull’evoluzione del gioco, il solito L’Equipe ci racconta la storia del Rugby 8o, il rugby “light” nato in Nuova Zelanda che, come nel pugilato, definisce i praticanti secondo una categoria di peso, quella appunto degli ottanta chili. Viene in mente un dibattito aperto tempo fa da Luciano Ravagnani sulle pagine della rivista La Meta. L’idea forse non potrà mai prendere piede ma mi pare comunque molto significativa.
Funziona così: è rugby a tutti gli effetti ma il peso dei giocatori iscritti a referto non può superare una media di 80 chili, con un massimo individuale di 88 chili. L’obiettivo è anche quello di offrire una chance anche ai giocatori che, pur dotati tecnicamente, hanno visto la loro carriera limitata da doti fisiche non straripanti. “Se si ama veramente il rugby, si deve volerlo condividere con tutti. Rugby 80 è un gioco dominato dalla tecnica, l’abilità e lo spirito di squadra, e non semplicimente dalla fisicità”, ha detto Bob Dwyer, il guru australiano (campione del mondo nel ‘91 - foto in basso) che si sta impegnando per promuovere la nuova versione del gioco.
Si guarda con interesse all’Asia, a paesi cioè nei quali i giocatori non sono particolarmente dotati fisicamente: il Rugby 80 potrebbe rappresentare un’importante occasione di promozione della palla ovale. (forse potemmo dire anche anche in Italia ?)A novembre si svolgerà in Thailandia un torneo con squadre provenienti da Nuova Zelanda, Australia, Inghilterra, Galles, Francia, Sud Africa, ma anche selezioni di Kenya, Giappone, Corea del Sud, Singapore, Thailandia, Sri Lanka e India. Sempre in Thailandia si è svolto nel 2005 la prima manifestazione internazionale di Rugby 80, vinta in finale contro l’Auckland dagli australiani di New South Wales, denominatisi simpaticamente “Trim Tahs” (nella foto in alto).
Tutto è cominciato in Nuova Zelanda, dove il numero di tesserati è cominciato a calare dalla fine degli anni Novanta con l’imporsi del modello fisico professionistico e la prevalenza dei muscolosi giocatori isolani. A Wellington vent’anni fa c’erano 240 squadre seniores di dilettanti, oggi ce ne sono solo 139: un terzo di queste praticano Rugby 80. Dwyer precisa che nella versione “pesi medi” il gioco non viene affatto snaturato: “Si vedono grossi placcaggi e contatti duri. Anche se il gioco è più veloce, è lontano dall’essere rugby a 7. Gli infortuni sono meno frequenti: nelle due precedenti edizioni del torneo internazionale, quando ogni squadra ha giocato quattro partite in una settimana, nessun giocatore ha mancato una partita per infortunio. Il Rugby 80 ha le stesse potenzialità del rugby “normale”, non vedo perchè un giorno non potremo avere delle competizioni internazionali o perfino una Coppa del Mondo

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