29.4.08

Villepreux pensiero...


Pierre Villepreux ritorna sullo stile di gioco che difende da sempre, per la semplice e buona ragione che questo stile non è invecchiato.

In questa cronaca, non si tratta di proclamare soltanto il migliore gioco, il gioco più bello deve essere quello che mettiamo sempre come scelta di gioco prioritaria.
Se esprimo impulsi differenti rispetto ad altri stili di gioco, non è per infiltrarli nel cervello ed imporre una concezione unica del gioco e della formazione che deve logicamente derivarne.
Sarebbe chiudersi in una bolla che escluderebbe qualsiasi altro modo di pensare.
Non desidero dunque essere sistemato in una categoria di teorici che non sarebbero aperti ad altri stili e concezioni.
Ma se desidero continuare valorizzare la scelta di uno stile è anche perchè la corrente didattica nella quale mi iscrivo, nonostante il tempo, non e invecchiata.
Mi sembra anzi più che mai d'attualità, se si accetta che il rugby d'oggi presenta alcuni limiti che occorre superare per dargli ancora più visibilità, più udienza con tutte le conseguenze che ciò implica.
Affinché quest'evoluzione si realizzi nelle migliori condizioni e giri attorno ad uno stile e ad una scelta di formazione dei tecnici e dei giocatori, occorre che il rugby sia prodotto da squadre che giocano effettivamente in movimento.
In questo senso, il campionato del mondo ha portato poco .
Ha soprattutto mostrato l'inverso anche se ci si può sostenere sul gioco di alcune squadre, particolarmente le Fiji.
La sfida di gioco che hanno lanciato i Fijani alle squadre e soprattutto ai futuri campioni, anche se ha portato della simpatia sarà rapidamente dimenticata poiché non ha portato guadagno alla squadra isolana.
Nella nostra società è il risultato che conta, perdere con onore non basta per essere riconosciuto e per influenzare i tecnici e rimettere in discussione una produzione vincente più portatrice di minacce che di speranza.
Non sono del resto sicuro che l'arrivo di nuove norme - anche se sono necessarie - possa creare una dinamica capace di trasformare il gioco se non c'è la volontà da parte dei tecnici per utilizzarle in modo positivo.
Giocare in movimento implica una chiara definizione di quest'opzione e non una meno chiara conoscenza del processo di formazione dei giocatori per farli accedere al "sapere giocare in movimento".
Occorre già, è un'evidenza, metterli in situazioni di pieno movimento.
Ciò vuole dire che occorre portare l'accento nel tempo ad una conoscenza sempre più fine e giudiziosa dei principi di sviluppo tattici dell'azione momentanea di gioco e della sua evoluzione, tanto in attacco che in difesa.
Questa conoscenza tattica condiziona il livello di capacità gestuale utile, cioè la tecnica.
Or bene, sarà necessario far nascere la tecnica dalla formazione tattica perché sia la conseguenza di una buona presa di decisione, di una buona scelta, del gioco giusto e non percepita come è troppo spesso come la ragione delle lacune dimostrate.
Di conseguenza, si formano giocatori atti a diventare giocatori polivalenti, capaci nel momento del gioco, di prendere l'iniziativa che si impone indipendentemente dal numero che si porta ed indipendentemente dall'azione o la sequenza di gioco, ma anche la forma di gioco nel quale si trova temporaneamente implicato (contesto "situazionale" di sostituzione) che gli permette di sfruttare la sua polivalenza.
Questo è vissuto nel "gioco pieno" creando inizialmente le condizioni di proiezione sufficiente, condizioni indispensabili che faranno prendere coscienza dei comportamenti utili da avere tra tutte le fasi di sospensione del movimento del pallone (ruck e maul) ma anche dalle tra le fasi statiche.
Questo lungo cammino di formazione, che accetta il movimento come primo, dà ai giocatori in attacco:
- La capacità di produrre movimenti di gioco complessi ed efficaci inizialmente grazie a presa di coscienza degli effetti prodotti sulla difesa.
- La capacità allo stesso tempo di sfruttare in modo giustificato i recuperi di palle (quando giocare rapidamente un "turn su over", quando contrattaccare su calcio sfavorevole)
Effettivamente si tratta, per avere un domani questo tipo di giocatori, di non fuorviare la formazione, soprattutto in quella che si qualifica "come iniziale".
Quest'ultima è determinante per il futuro di chi pratica il rugby.
Nulla di ciò è possibile se si ritorna ad un gioco restrittivo, ad un piano tattico sempre lo stesso con il concatenamento preciso di azioni ripetute in modo immutabile.
Se questo gioco paga, non si mettono più i giocatori in grado di evolvere.
Una volta uscite dal "sistema chiuso", le loro capacità di modificare il gioco diventano se non nulle almeno sempre più deboli.
L'incontro Toulouse- Leinster è in questo senso piuttosto rassicurante.
Speriamo che questa produzione di gioco susciti vocazioni negli allenatori e nei giocatori.
Si tratta di un passo di formazione per l'allenatore al quale occorre fare aderire i giocatori praticando una formazione di movimento.
Si sostiene su un lavoro particolare per dare loro basi fisse,affidabili e ferme, riferimenti che non dettano la via da seguire, ma molti segnali che permettono di restare sulla via, cosa che non impedisce per altro il rinnovo delle scelte tattiche.

Rugbyrama - Pierre Villepreux - 20/1

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